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L'Erbario Tropicale compie cento anni


Riccardo Maria Baldini, Università di Firenze
Due enormi stanze silenziose, lunghe file di teche che raccolgono i folder contenenti 230mila campioni di flora tropicale. E’ il prezioso patrimonio del Centro Studi Erbario Tropicale (CSET) dell’Università di Firenze, l’unico in Europa con tale specializzazione, che compie nel 2014 cento anni. Un’imponente collezione storica in costante aggiornamento, consultata dai botanici di tutto il mondo per lo studio di piante, in alcuni casi estinte, e ricca di spunti anche per altre discipline, dalla medicina alla farmacologia, alla biochimica. E dai locali del Dipartimento di Biologia, di cui il Centro fa parte, le collezioni potranno andare presto online, dove saranno disponibili oltre 3.000 campioni typus,i reperti su cui gli studiosi descrivono per la prima volta una specie vegetale (nelle foto in basso due reperti).

“Conservazione dei beni culturali e scrigno di una biodiversità che può ancora offrire sorprese e fornire indicazioni e strumenti di ricerca anche per altre discipline oltre che per la botanica”. Così definisce la missione del Centro Riccardo Maria Baldini, ricercatore, docente di Botanica sistematica per scienze naturali e direttore del CSET da 3 anni.

Il Centro festeggia 100 anni, ma la vita delle sue collezioni è più lunga e si intreccia alla storia d’Italia.

Il CSET è figlio del Museo ed Erbario Coloniale, fondato nel 1904 a Roma da Romualdo Pirrotta e poi trasferito a Firenze nel 1914, dove già esisteva l’Erbario Centrale Italiano che adesso fa parte del Museo di Storia Naturale, per riunire in un solo luogo tutte le principali collezioni botaniche dell’Italia Unita che ammontano attualmente a circa 5.000.000 di esemplari. Firenze divenne allora il principale centro di studi sulla botanica nel mondo lo è ancora adesso per quel che riguarda le collezioni essiccate. Nelle collezioni fiorentine, del resto, è rispecchiata la storia d’Italia vista dalla prospettiva coloniale e geopolitica del secolo scorso. Il nucleo principale è quello dei reperti raccolti in Africa orientale: Etiopia, Eritrea, Somalia, Uganda, Kenia. La botanica, già dalla fine dell’800, confermava le potenzialità in termini vegetali e dunque agricoli dell’Africa.


Quando non era ancora cominciata la desertificazione in quella parte del continente?

Sì. L’Etiopia in particolare è uno dei principali centri di differenziazione delle piante primigenie che si sono rivelate utili per l’uomo e lo hanno seguito nel suo viaggio verso gli altri continenti ed è un territorio tra i più importanti per la diversità biologica, assieme all’Amazzonia, alla foresta atlantica brasiliana e all’Africa equatoriale. E’ la patria di molte piante di uso alimentare, come il caffè - il cui nome ha origine dalla zona di Caffa, nell’Abissinia meridionale da cui poi fu probabilmente introdotto nella penisola Arabica - di cui il Centro conserva esemplari delle zone d’origine. E dall’Etiopia arriva anche la collezione dei sorghi raccolta tra le due guerre mondiali, formidabile fonte di informazione di varietà, alcune ad uso alimentare,  differenziatesi proprio in quel territorio.

 

Nell’Erbario ci sono sicuramente delle piante che raccontano l’alimentazione dell’uomo in epoche più antiche.

Nel Centro conserviamo, fra l’altro, un reperto di Prunica protopunica, una rara pianta raccolta durante una spedizione nell’Isola di Socotra (Yemen) e precursore del più conosciuto melograno (Prunica granatum). Durante le spedizioni nella Repubblica di Panama abbiamo trovato invece graminacee primitive come i generi Streptochaeta, Maclurolyra, Olyra. Si tratta anche in questo caso di importanti ritrovamenti in habitat forestali pluviali dove l’intera famiglia delle graminacee si è originata sin dall’Era Terziaria, assumendo poi la dominanza in ambienti aperti di savana e un ruolo determinante nella alimentazione animale e umana. Grazie a questi reperti possiamo ricostruire l’origine della più importante famiglia di piante alimentari, a cui appartengono ad esempio i cereali più noti come grano, segale, riso e il sorgo, appunto.

Rubs, typus, Centro Studi Erbario Tropicale Università di Firenze Sorghum, typus, Centro Studi Erbario Tropicale Università di Firenze

Come si è formato nel tempo il patrimonio botanico nel Centro

 Grazie alle spedizioni fatte nel passato anche recente ma pure in forza degli scambi con altre istituzioni e di donazioni private. Ad esempio quella proveniente dagli altipiani del Venezuela, realizzata dal padre missionario Giuseppe Bono: 18.000 reperti raccolti in una delle aree più inaccessibili del paese, di grande pregio e ancora tutta da studiare.

 

Chi sono gli utenti dell’Erbario?

In maggioranza stranieri, il 90%, ricercatori con i quali abbiamo instaurato nel tempo collaborazioni  per iniziative e progetti di ricerca come quelli dedicati al censimento e studio della Flora dell’Etiopia e dell’Eritrea, la Flora della Somalia, e più di recente allo studio della Flora Mesoamericana e lo studio etno-botanico di piante africane.

 

Il continente americano è, oltre all’Africa, uno dei luoghi in cui si estende l’attività del Centro di Studi. Ci sono ancora piante da scoprire?

Attualmente abbiamo un accordo di collaborazione con l’Università di Panama per le ricerche in quel paese. Abbiamo ricevuto 700 reperti relativi a piante che non erano rappresentate nelle nostre collezioni e io collaboro con i ricercatori centroamericani. Durante l’ultima spedizione, nell’area indigena del popolo Guna, abbiamo raccolto una specie appartenente alla famiglia Meliaceae, ancora non identificata, la cui corteccia è utilizzata per un infuso contro l’epilessia. Questo è un esempio di botanica parallela, rispetto alla botanica scientifica con cui ci confrontiamo ogni giorno come addetti ai lavori, legata all’uso delle piante da parte di popolazioni indigene che gestiscono le aree tropicali più conservate e protette. Un uso che non è solo alimentare ma anche medico e curativo, un aspetto che merita di essere approfondito in sinergia con specialisti di altre discipline come la farmacologia e la fitochimica. In quella stessa spedizione abbiamo raccolto esemplari di Anthurium, pianta appartiene alla famiglia delle Araceae, grazie ai quali saranno presto descritte almeno 25 nuove specie. Un altro filone di ricerca su cui il Centro è attivo è ancora lo studio della flora dell’Etiopia, assieme all’Università di Addis Abeba, con la quale il CSET ha stipulato due accordi di collaborazione interculturale, e a quella di Copenhagen.

 

Uno dei progetti allo studio del Centro è quello di una banca dati genetica delle piante. Ce ne può parlare?

Da un semplice frammento di foglia ben conservato si può estrarre il DNA della pianta di appartenenza e ottenere l’impronta genetica ai fini della sua identificazione inequivocabile e oggettiva. Grazie ai nostri reperti potremmo affiancare la metodologia tradizionale basata sulla morfologia a quella molecolare, permettendo la realizzazione di banche dati utilizzabili su più versanti della ricerca.

 

Come si integra il Centro con le attività didattiche e di ricerca del Dipartimento di Biologia?

Da quando lo dirigo, il Centro ha ospitato sette studenti tirocinanti, di cui due stranieri, grazie ai quali, tra l’altro, è stato possibile catalogare 8.000 nuovi reperti. Il CSET inoltre partecipa all’organizzazione del master europeo di I livello Tropical Biodiversity and Ecosystems (TROPIMUNDO) fornendo assistenza e partecipando con un corso introduttivo alla Botanica tropicale e un secondo relativo alla gestione delle collezioni d’erbario, aspetto quest’ultimo in espansione nei Paesi in via di sviluppo. (sd)

 
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