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Università in carcere, l'esperienza fiorentina

Ivan si è laureato in Scienze della Formazione e sta mettendo su, nella campagna toscana, una residenza agricola per malati mentali, dove ha piantato ulivi e viti e da cui intende ricavare olio, vino e marmellate. Giovanni si è laureato in Scienze in infermieristiche e lavora attualmente presso strutture ospedaliere come terapista della riabilitazione. Vito invece pur essendosi distinto a Scienze politiche si è fermato alla tesi, ma ha trovato comunque un’occupazione soddisfacente nel ramo dell’edilizia. Ivan, Giovanni e Vito sono nomi di fantasia, ma le loro storie - autentiche – sono quelle di ex studenti ai quali il Polo Universitario Penitenziario (PUP) ha garantito il diritto alla formazione universitaria.

Il Polo Universitario Penitenziario (PUP) nasce nel 2000 per impulso dell’Ateneo fiorentino e assume carattere regionale dieci anni più tardi con un protocollo d’intesa siglato da Università di Firenze, Pisa e Siena, Regione Toscana e Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e rinnovato di recente. A livello italiano è l’iniziativa più rilevante per estensione, coinvolgimento delle istituzioni, offerta formativa, numero di docenti e operatori coinvolti, situazioni interessate (il progetto coinvolge infatti anche detenuti in alta sicurezza, di sezioni protette e in esecuzione penale esterna). Delegato del rettore dell’Ateneo fiorentino per il Polo Universitario Penitenziario è Antonio Vallini, professore associato di diritto penale, a cui abbiamo chiesto di illustrare la realtà del Polo fiorentino nell’ambito del PUP.

Qual è attualmente l’impegno istituzionale del nostro Ateneo nell’ambito del PUP?
Tra gli atenei toscani l’Università di Firenze è quella maggiormente coinvolta in termini numerici e organizzativi. Sono impegnati infatti oltre a me, come delegato del rettore, un delegato per Scuola (dieci in tutto), otto delegati di corsi di laurea, un funzionario per la segreteria amministrativa e tre referenti delle biblioteche, della segreteria studenti e del Centro Linguistico d’Ateneo. L’Università di Firenze gestisce inoltre la segreteria regionale del Polo, composta da operatori del servizio civile e coordinata dall’Associazione di volontariato penitenziario, che svolge un enorme lavoro di tutoraggio presso le tre sedi e di supporto alle attività amministrative e di raccordo con gli altri soggetti istituzionali.

Quanti sono gli studenti detenuti iscritti al Polo fiorentino?
Risultano iscritti all’unità fiorentina 30 studenti, mentre sono 68 i detenuti che fanno riferimento al Polo Universitario Penitenziario della Toscana complessivamente considerato. La maggior parte degli studenti è dunque detenuta nel carcere di Prato – istituto dove è collocato il polo universitario dell’università di Firenze - in misura inferiore a Pisa e a San Gimignano, sedi di competenza, rispettivamente, delle Università di Pisa e di Siena. Vi sono poi iscritti in altre sedi, come Volterra, Sollicciano, Montelupo Fiorentino. La popolazione universitaria carceraria è estremamente eterogenea per età, livello culturale ed estrazionesociale, per cui nonè possibile definire un profilo dello studente tipo. Per quel che riguarda le tasse gli studenti fiorentini sono tenuti a pagare solo la quota regionale del contributo. Il Polo continua a garantire i propri servizi per un anno anche dopo che il detenuto torna in libertà o viene trasferito in un penitenziario di altra regione.

In che cosa consiste e come si concretizza il lavoro del PUP?
Il progetto si attua attraverso un sistema integrato di didattica dedicata agli adulti, assistenza alla didattica e amministrativa.
L’accesso all’università prevede colloqui preliminari e di orientamento. I delegati di Scuola, Dipartimento o Corso garantiscono la presenza dei docenti presso le sedi del Polo  per la presentazione delle materie. Per gli esami si organizzano generalmente commissioni che si recano in carcere. Fondamentali sono le funzioni di tutorato che consistono principalmente in attività di mediazione comunicativa e logistica tra docenti e studenti detenuti. Questa assistenza alla didattica, che si traduce in vere e proprie forme di sostegno personalizzato, è svolta da figure di vario tipo: gli operatori del servizio civile (otto più il coordinatore), i tirocinanti della Scuola di Scienze politiche (tre/quattro) e gli studenti volontari di Matematica e dell’associazione Ingegneria Senza Frontiere. L’unità fiorentina può contare inoltre su “tutor senior”, cioè docenti in pensione che mettono a disposizione esperienza, competenze e tempo libero per integrare le attività didattiche del Polo e prendersi in carico singoli studenti detenuti in modo da seguirli nel loro percorso. Sono Nedo Baracani (Scienze della formazione), Ignazio Becchi (Ingegneria), Paolo Dapporto (Chimica), Giancarlo Mori (Diritto ecclesiastico), Donatella Tombaccini (Medicina), Roberto Corazzi (Architettura), Marcello Colocci (Fisica), Piero Tani (Economia), Claudio Chiuderi (Astronomo), Sandro Pezzoli (Economia), Jennifer Greenleaves (Inglese).

In che modo riescono a comunicare il mondo dell’università e quello penitenziario? Quali sono le principali difficoltà?
Ci sono varie questioni sul tavolo. Per i docenti le attività didattiche nel Polo si aggiungono alla già notevole mole di lavoro svolta in aula. D’altra parte l’amministrazione penitenziaria fa i conti ogni giorno di più con la carenza di organico e i problemi legati al sovraffollamento. Questi fattori si ripercuotono sul modo in cui il progetto viene portato avanti. Per superare questo aspetto è necessario rendere sempre più il polo una occasione anche per docenti (attività di ricerca, esperienza didattica alternativa riconosciuta) e amministrazione penitenziaria (coinvolgimento e facilitazioni anche per loro). Esistono per forza di cose problemi di “comprensione” delle reciproche esigenze, dato che l’amministrazione penitenziaria è pressata da notevoli esigenze logistiche e di sicurezza, rispetto alle quali le istanze universitarie di singoli studenti possono non avere un carattere prioritario. E’ necessario dunque contemperare le diverse esigenze, e incrementare i meccanismi decisionali in una prospettiva condivisa. Ci sono poi altre criticità. Mi riferisco ai problemi legati alla possibilità di usufruire di tirocini e in generale di esami che richiedono prove pratiche difficilmente realizzabili in carcere (ad esempio certi esami di medicina).

Quali sono i punti su cui state lavorando per migliorare la situazione del PUP?
La priorità è l’informatizzazione delle sezioni, anche e soprattutto quelle di alta sicurezza. Abbiamo in corso un progetto per l’attivazione di canali telematici dedicati alle lezioni a distanza. Un fronte sul quale stiamo lavorando è l’allestimento di un archivio storico, che ci consenta di disporre informazioni aggiornate relative ai nostri studenti. Stiamo lavorando inoltre alla semplificazione delle procedure, quelle riguardanti le immatricolazioni, il prestito dei libri o come la gestione della privacy. Ci sono poi sfide di altro tipo. Vorremmo far conoscere il Polo Universitario Penitenziario all’esterno, valorizzarne esperienza e risultati, facendolo anche oggetto e sede di progetti di ricerca scientifica, in collaborazione tra i tre Atenei. Un'altra sfida riguarda l'organizzazione di attività culturali, sociali e ricreative, da ideare e condividere con gli studenti che abitano la sezione e gli uffici educativi del carcere. Siamo impegnati nello sviluppo di ulteriori occasioni di intesa, condivisione e collaborazione tra le istituzioni coinvolte. Oltre a una convenzione già stipulata per tirocini curriculari degli studenti presso le strutture carcerarie, è sul tavolo anche un accordo per l'accesso agevolato del personale dell’amministrazione penitenziaria, e anche dell’area sanitaria, a master, corsi di perfezionamento, corsi di aggiornamento professionale promossi dai tre atenei.

 Dall’istituzione del Polo a oggi, ritiene che il ruolo dell’Università sia cambiato in qualche modo?
La nostra missione è e rimane quella di garantire il diritto allo studio universitario, non il reinserimento sociale, che è responsabilità di altre istituzioni e  agenzie. E’un fatto però che lo studio universitario e l’eventuale laurea possono fornire motivazioni e opportunità per il reinserimento.

Una volta conclusa la detenzione, gli studenti del PUP riescono a reinserirsi più facilmente rispetto agli altri?
L’acquisizione di nuove conoscenze, competenze e orizzonti culturali, come quelle che l’Università può dare, ha fornito occasioni e motivazioni per percorsi di reale risocializzazione, talora al di là di ogni aspettativa. Spesso il conseguimento della laurea è stato il presupposto di un inserimento lavorativo gratificante, condizione necessaria per un radicale cambiamento. Ovviamente ci sono casi molto diversi che dipendono anche dal percorso individuale del detenuto.  Un
settore problematico è quello degli stranieri extracomunitari, che incontrano maggiori difficoltà a reinserirsi nel tessuto sociale e lavorativo. Il recupero sociale più complicato è però quello di affiliati ad associazioni di stampo mafioso, portatori di culture devianti molto radicate e provenienti da ambienti criminali assai strutturati, talora coincidenti con le famiglie di appartenenza, che tendono dunque, inesorabilmente, a “fagocitarli” di nuovo non appena scontata la pena. Abbiamo, tuttavia, esperienze positive persino in questo ambito. Alcuni nostri studenti hanno deciso di troncare radicalmente rapporto con gli ambienti di provenienza e con un passato tanto ingombrante, anche a costo di mettere a repentaglio la propria incolumità.  (rp)

 

 

 


 
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