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Agricoltura e salute umana, finanziamento europeo per un progetto di ricerca biennale

Ridurre l’utilizzo del rame come antiparassitario, a favore dell’ambiente e della salute degli esseri umani e degli animali. E’ questo l’obbiettivo di “AFTER Cu”, progetto europeo LIFE+ coordinato dal Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente, di cui è responsabile scientifico Stefania Tegli.

“Il rame che viene utilizzato come antiparassitario tende ad accumularsi nell’ambiente, in particolare nel suolo, dove non è degradato - spiega Tegli, ricercatrice del Laboratorio di Patologia Vegetale Molecolare (LPVM) - Dal terreno può raggiungere e inquinare acque superficiali e profonde, determinando gravissimi rischi ambientali ed episodi di tossicità acuta e cronica verso un ampio spettro di organismi e microrganismi.”

Quali sono i rischi di una concentrazione così alta del metallo?

Oltre alla sua tossicità diretta, non è assolutamente da sottovalutare un effetto collaterale importante dell’uso in agricoltura dei sali di rame come fungicidi e battericidi: infatti, trattamenti ripetuti nei decenni se non nei secoli hanno determinato un aumento allarmante della percentuale di batteri antibiotico-resistenti nella microflora degli agrosistemi, con la creazione di veri e propri serbatoi di geni per l’antibiotico-resistenza. Questi geni possono essere trasmessi con facilità ai batteri patogeni di uomo e animali, rendendoli resistenti agli antibiotici ed annullandone l’azione profilattica e terapeutica in medicina umana e veterinaria.

Ci sono dati a disposizione su questo tipo di inquinamento?

Secondo recenti studi condotti in vari Paesi dell’Unione europea le conseguenze dovute all’uso continuativo dei sali di rame come fitofarmaci negli ultimi duecento anni sono una concentrazione del metallo che varia tra 100 fino a 1.280 mg /kg di suolo negli agro sistemi, contro valori di 5- 20 mg/kg di suolo in aree non contaminate da attività agricole. L’Italia ha recepito le direttive europee che impongono la riduzione dell’uso del rame, per le gravi problematiche tossicologiche associate a questo elemento.

Che cosa significa AFTER Cu?

E’ l’acronimo di “Anti-infective environmental friendly molecules against plant pathogenic bacteria for reducing Cu” (LIFE12 ENV/IT/000336). Si tratta di un progetto biennale, che è partito il primo gennaio 2014 e ha un costo di 1.282.930 euro, cofinanziato dall’Unione europea per il 50%.

Quali sono i soggetti coinvolti?

Per quel che riguarda il nostro Ateneo, fanno parte del team che coordino Stefano Biricolti e Carlo Viti, del Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente. Ci affiancano i ricercatori del BioElectroLab del Dipartimento di Chimica, coordinato da Maria Rosa Moncelli, e Patrizia Bogani del Laboratorio di Genetica vegetale del Dipartimento di Biologia.

I nostri partner sono il Centro d’edafologia y biologia aplicada del segura (CEBAS) del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (Spagna), l’Istituto di Chimica dei composti organo metallici (ICCOM) del CNR - Pisa e due aziende italiane che si occuperanno della sperimentazione nelle coltivazioni in campo e in serra: ASTRA Innovazione e sviluppo srl e la Fattoria Soldano. Abbiamo avuto accesso al finanziamento europeo anche grazie ai risultati preliminari e alle molecole anti-infettive che il gruppo di ricerca fiorentino ha identificato nei progetti di ricerca finanziati in questi ultimi anni dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

 Qual è l’obbiettivo specifico del progetto AFTER Cu?

Dimostrare l’attività anti-infettiva in vivo e in vitro di piccole proteine innovative, da noi già disegnate ed allestite, verso i batteri che causano malattie alle piante, così da ridurre l’uso del rame come battericida. E questo è decisamente importante se si considera che, in tempi recenti, sono stati già stati proposti interessanti esempi di fungicidi innovativi alternativi ai sali di rame, mentre non esistono ancora sostanze analoghe attive contro i batteri patogeni delle piante. Questa carenza è ancora più grave considerando che i cambiamenti climatici in atto stanno ampliando l’area di diffusione di alcuni batteri fitopatogeni anche estranei all’ecosistema europeo o aggravando l’incidenza e la severità di quelli endemici.

In particolare, ci focalizzaremo sulla lotta alle malattie causate dai batteri fitopatogeni Gram negativi, che sono i più diffusi e che provocano i maggiori danni in ambito vegetale. Inoltre, poiché il bersaglio di queste piccole proteine anti-infettive è conservato in tutti i batteri patogeni Gram negativi di piante, animali e uomo, e non è essenziale per la loro vitalità ma solo per la loro patogenicità, tale strategia potrà in futuro essere facilmente trasferita anche in ambito medico e veterinario, con scarso rischio di sviluppo di resistenze nei loro confronti a seguito di ripetuti trattamenti.

Dalla vostra ricerca verranno indicazioni significative anche riguardo alle possibili ricadute sulla salute umana quindi?

Questo è sicuramente un risvolto non secondario del progetto, poiché il controllo delle malattie ad eziologia batterica dell’Uomo e degli animali dipende ancora esclusivamente dall’uso di antibiotici, per i quali esiste il gravissimo problema pandemico dello sviluppo di resistenze che ne stanno da decenni compromettendo in maniera allarmante l’efficacia. (sd)

 
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