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A cena con il Nobel della chimica 2013

Professor Vespri, lei ha portato all’Università di Firenze il Premio Nobel della chimica 2013 Michael Levitt. Qual è stato il suo primo pensiero quando ha appreso la notizia?

Mi trovavo a Bruxelles, presso la Research European Agency, quando il collega Mario Piccioli, con un messaggio su Facebook, mi ha dato la notizia, ricordandomi scherzosamente di una serata trascorsa tutti insieme in una delle più infime pizzerie di Sesto Fiorentino. Con noi c’erano anche Claudio Luchinat e Ivano Bertini.

Come ha conosciuto il professor Levitt?

Nel 2000 a Martina Franca il Centro Internazionale Matematico Estivo aveva organizzato un corso dal titolo “Mathematical Methods for Protein Structure Analysis and Design“. Fra i conferenzieri vi era Michael Levitt  che teneva un corso dal titolo “Bio-informatics and structural genomics”. Io ero lì per motivi organizzativi e mi occupavo di tutt’altro (regolarità per equazioni differenziali). Ma per pura curiosità iniziai a seguire la prima delle sue quattro ore di corso. Affascinante, chiaro, lucido. Decisi di perciò di seguirlo tutto.

Fu allora che decise di invitarlo a Firenze per un corso integrativo?

Ho sempre pensato che questo tipo di corsi non avessero la funzione di coprire necessità didattiche, ma di consentire agli studenti e ai ricercatori di essere messi in contatto con nuove e stimolanti direzioni di ricerca. E chi meglio di Levitt poteva avere questo ruolo? Mi diedi da fare. Superata qualche resistenza culturale dei colleghi (“Ma è matematica? Un corso senza teoremi da dimostrare?”)  e grazie all'entusiasmo dei ricercatori più impegnati in ricerche applicate, la mia proposta per l’anno accademico 2000/2001, infine, passò. Levitt accettò con entusiasmo, portando pure con sé la moglie.

Quale fu il riscontro di quelle lezioni tra gli studenti?

I ragazzi lo seguirono entusiasti. Tutti  capirono  che stava iniziando una nuova scienza multidisciplinare con innumerevoli ricadute sia tecnologiche che scientifiche oltre che sociali. Organizzai anche  un seminario al Polo di Sesto presso i laboratori di Ivano Bertini. Questa fu l'occasione della pizza a Sesto Fiorentino che ricordava Piccioli. Il corso fu semplicemente affascinante. Tutti i partecipanti intuirono il grande potenziale della bio-informatica, delle applicazioni alla genomica. Una mia studentessa chiese di poter studiare quegli argomenti di bioinformatica e assieme a Bertini trovai i fondi per una borsa post-laurea presso il CERM. Ma Levitt non parlò solo di bioinformatica e di protein folding: ci raccontò anche del sogno americano, della California e dell'economia basata sulla conoscenza e portò come esempio Google (allora sconosciuto in Italia) e di come la matematica abbia la potenzialità intrinseca di interagire con le altre discipline generando posti di lavoro ed opportunità.

Cos’è rimasto di questo corso?

Con una battuta potrei rispondere un mouse. Levitt era rimasto inorridito del mio mouse antidiluviano che si inceppava sempre e me ne inviò uno per posta. La verità è però amara. Oggi mancano risorse per poter organizzare questi corsi integrativi sui quali indirizzare i nostri ragazzi più brillanti e motivati.

 (rp)

 

 

 
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