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Notiziario |
La ricerca in prima personaTre ricercatori dell'Università di Firenze si raccontano a tutto campo in occasione della "Notte". Parlano di una vocazione che prende la forma della passione attraverso lo studio, gli esperimenti in laboratorio, l'esperienza della didattica. E danno un messaggio di incoraggiamento ai giovani che vogliono puntare sulla ricerca pubblica.
Fare ricerca è sinonimo di precariato? Il mio percorso è stato tutto sommato breve -- ho vinto il concorso da ricercatore a 34 anni -- ma per tantissimi colleghi, altrettanto bravi, non è così e ancora oggi non sono strutturati. Ho avuto dalla mia parte il fatto di possedere due competenze e quindi potermi impegnare su fronti diversi; ma non è facile reinventarsi, né poter contare su un'altra professionalità. Ecco, vorrei soprattutto richiamare l'attenzione su chi all'Università ha dato tanto ed è ancora in attesa di entrare”.
Il cursus honorum è quello canonico con una laurea con lode conseguita nel 1995 e un dottorato di ricerca nel 1998. L’anno successivo Ferrara sale il primo scalino della carriera accademica aggiudicandosi il concorso per ricercatore a tempo indeterminato. Un profilo destinato a estinguersi con l’entrata in vigore della riforma universitaria (la cosiddetta riforma Gelmini) come sanno bene alcuni suoi collaboratori. “Nel mio gruppo di ricerca ci sono cinque assegnisti e cinque dottorandi – spiega – le scadenze dei loro contratti sono sempre prossime e ovviamente motivo di affanno e di preoccupazione. Cerco comunque di incoraggiarli. Quando sono particolarmente motivati li invito a non mollare e a considerare anche le opportunità di ricerca all’estero. Purché rientrino e riportino il valore da essi rappresentato nel nostro paese … però, mi rendo conto, questo spesso non avviene”. “Alcuni di loro negli anni scorsi hanno preferito comprensibilmente accettare le proposte che arrivavano dalle imprese. Io stesso ho avuto delle opportunità, anche per posizioni avanzate e ben remunerate – prosegue Ferrara – ma l’esitazione non è durata che un attimo, perché il mio interesse per la didattica e la ricerca è viscerale. Certo all’Università non si resta per convenienza!”. “Mi rendo conto di essere comunque un privilegiato – conclude Ferrara – se mi confronto con i tanti giovani che, con merito, vorrebbero dare il proprio contributo alla ricerca e sono impossibilitati a farlo in maniera strutturata. Attualmente sono in attesa dell’abilitazione scientifica nazionale che potrebbe finalmente permettermi l’accesso alla posizione di Professore Associato. Se tutto va bene questa prospettiva potrebbe realizzarsi già il prossimo anno ... ma è bene non sbilanciarsi, in questo Paese ogni previsione è un azzardo”.
Ha le idee molto chiare anche sui vulnus del sistema universitario Giacomo Santini: “Ci sono spesso troppe regole e in molti casi sono poco precise – afferma – districarsi tra gli adempimenti non è mai banale e a volte non si capisce nemmeno a chi ci si deve rivolgere. Tutto questo ha una ricaduta sull’organizzazione delle attività. Il raccordo tra didattica e ricerca è complicato, così come a volte il dialogo con l’amministrazione generale. E’un problema questo tipicamente italiano – prosegue – perché è vero che in altri paesi europei la macchina è più fluida. Io vorrei dedicarmi completamente alla ricerca e alla didattica. All’atto pratico invece un terzo del mio tempo lo destino ad altro”. L’altro grande tema è quello dell’incertezza strutturale in cui versa l’università nel suo insieme. “E’diventato molto problematico elaborare un programma a lungo termine – conclude Santini – la mancanza di prospettive dei singoli è diventata un problema di sistema che richiede un’attenzione molto seria. Ciò detto, se uno ha una vocazione per la ricerca, in un quadro così delicato, ancora di più deve resistere alla tentazione di mollare. Bisogna andare avanti e non rinunciare ai propri sogni”. |
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