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La ricerca in prima persona

Tre ricercatori dell'Università di Firenze si raccontano a tutto campo in occasione della "Notte". Parlano di una vocazione che prende la forma della passione attraverso lo studio, gli esperimenti in laboratorio, l'esperienza della didattica. E danno un messaggio di incoraggiamento ai giovani che vogliono puntare sulla ricerca pubblica. 

giorgia bulli

Giorgia Bulli, ricercatore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Firenze

"Mi sono laureata in Scienze politiche con una tesi sui partiti politici di estrema destra in Germania dal secondo dopoguerra in poi : durante il corso di studio, grazie al progetto Erasmus, ho trascorso un semestre presso l’Università di Heidelberg. Questo mi ha permesso di confrontarmi con metodi didattici ed esperienze universitarie diverse, oltre che di arricchire le mie competenze linguistiche. Dopo la tesi ho lavorato come insegnante di italiano come Lingua Seconda nei centri di alfabetizzazione  per alunni stranieri promossi dal Comune di Firenze, un’attività professionale che avevo intrapreso ancor prima di laurearmi. A questo progetto -- un'esperienza bellissima - mi sono dedicata anima e corpo.

Dopo la laurea il correlatore della mia tesi mi ha incoraggiata a proseguire nel percorso universitario, e così ho fatto domanda per un dottorato in Scienza della politica, che ho svolto presso la facoltà di Scienze Politiche di Firenze “Cesare Alfieri”. Durante il ciclo di dottorato ho passato un anno all'estero, ancora in Germania, a Francoforte sull'Oder, per occuparmi del tema del successo dei partiti populisti in Europa.
  Concluso il corso di dottorato ho avuto un assegno di ricerca, quindi mi sono presentata al concorso per ricercatore. A questo punto ho vinto il concorso, ma -- per i problemi legati alla situazione finanziaria dell'Ateneo -- non sono stata assunta subito. Ho dovuto aspettare due anni. Nel frattempo, pur continuando a fare ricerca e a svolgere attività didattica in Università, ho lavorato a scuola, dato che non era chiaro quando la situazione si sarebbe sbloccata.

Fare ricerca è sinonimo di precariato? Il mio percorso è stato tutto sommato breve -- ho vinto il concorso da ricercatore a 34 anni -- ma per tantissimi colleghi, altrettanto bravi, non è così e ancora oggi non sono strutturati. Ho avuto dalla mia parte il fatto di possedere due competenze e quindi potermi impegnare su fronti diversi; ma non è facile reinventarsi, né poter contare su un'altra professionalità. Ecco, vorrei soprattutto richiamare l'attenzione su chi all'Università ha dato tanto ed è ancora in attesa di entrare”.

giovanni ferrara

Giovanni Ferrara, ricercatore del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Firenze

Quarantatrè anni, fiorentino e una grande passione per la motocicletta, nata durante l’adolescenza e alimentata poi in seguito. Giovanni Ferrara, però, pur avendo frequentato diversi circuiti italiani come il Mugello e Misano, non è un centauro professionista, ma un ricercatore della Scuola di Ingegneria dell’Università di Firenze. Il suo insegnamento, manco a dirlo, è “Motori a combustione interna”.

“Il mio desiderio è sempre stato quello di quello di poter dare supporto al settore tecnico e dell’innovazione industriale e, per fortuna, posso dire di averlo realizzato – spiega - All’interno del laboratorio di Innovazione per l’Energia e l’Ambiente (Linea) abbiamo sviluppato numerosi filoni di ricerca molto stimolanti come la ricerca di soluzioni per minimizzare i consumi e abbattere le emissioni acustiche e inquinanti dei motori, o lo studio di soluzioni integrate per lo sfruttamento delle energie rinnovabili (Smart Grid). Questi temi stimolati dal rapporto con le aziende, si traducono anche in formazione per gli studenti che collaborano alle nostre attività di ricerca.”.

Il cursus honorum è quello canonico con una laurea con lode conseguita nel 1995 e un dottorato di ricerca nel 1998. L’anno successivo Ferrara sale il primo scalino della carriera accademica aggiudicandosi il concorso per ricercatore a tempo indeterminato. Un profilo destinato a estinguersi con l’entrata in vigore della riforma universitaria (la cosiddetta riforma Gelmini) come sanno bene alcuni suoi collaboratori. “Nel mio gruppo di ricerca ci sono cinque assegnisti e cinque dottorandi – spiega – le scadenze dei loro contratti sono sempre prossime e ovviamente motivo di affanno e di preoccupazione. Cerco comunque di incoraggiarli. Quando sono particolarmente motivati li invito a non mollare e a considerare anche le opportunità di ricerca all’estero. Purché rientrino e riportino il valore da essi rappresentato nel nostro paese … però, mi rendo conto, questo spesso non avviene”.

“Alcuni di loro negli anni scorsi hanno preferito comprensibilmente accettare le proposte che arrivavano dalle imprese. Io stesso ho avuto delle opportunità, anche per posizioni avanzate e ben remunerate – prosegue Ferrara – ma l’esitazione non è durata che un attimo, perché il mio interesse per la didattica e la ricerca è viscerale. Certo all’Università non si resta per convenienza!”.

“Mi rendo conto di essere comunque un privilegiato – conclude Ferrara – se mi confronto con i tanti giovani che, con merito, vorrebbero dare il proprio contributo alla ricerca e sono impossibilitati a farlo in maniera strutturata. Attualmente sono in attesa dell’abilitazione scientifica nazionale che potrebbe finalmente permettermi l’accesso alla posizione di Professore Associato. Se tutto va bene questa prospettiva potrebbe realizzarsi già il prossimo anno ... ma è bene non sbilanciarsi, in questo Paese ogni previsione è un azzardo”.

 

giacomo santini

Giacomo Santini, ricercatore del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze

“"La ricerca è una voce che ti senti dentro e che a volte non ti fa pensare ad altro. Quando insegui un'idea questa ti prende e nessun ostacolo in fondo sembra davvero insormontabile”. Così spiega la passione per il suo lavoro Giacomo Santini, pratese, classe 1964, ricercatore del dipartimento di Biologia, che tiene i corsi di “Etologia ed ecologia animale” e di “Modelli e metodi per la conservazione”.

“La ricerca mi dà l’opportunità di approfondire i temi che mi interessano davvero e di dare sfogo alla mia naturale curiosità – spiega Santini – fuori dall’Università non avrei questa stessa libertà. A distanza di sedici anni ritengo di aver scelto la strada migliore per me. Ho assecondato un mio desiderio, senza ascoltare chi insinuava dei dubbi sulle reali opportunità di carriera collegate alla biologia e all’università. Ed è questa mia esperienza che riporto ai giovani che incontro nelle giornate dell’orientamento. A loro dico ‘scoprite la vostra passione’: scegliere un percorso guardando solo alle statistiche occupazionali può essere fuorviante”.

Ha le idee molto chiare anche sui vulnus del sistema universitario Giacomo Santini: “Ci sono spesso troppe regole e in molti casi sono poco precise – afferma – districarsi tra gli adempimenti non è mai banale e a volte non si capisce nemmeno a chi ci si deve rivolgere. Tutto questo ha una ricaduta sull’organizzazione delle attività. Il raccordo tra didattica e ricerca è complicato, così come a volte il dialogo con l’amministrazione generale. E’un problema questo tipicamente italiano – prosegue – perché è vero che in altri paesi europei la macchina è più fluida. Io vorrei dedicarmi completamente alla ricerca e alla didattica. All’atto pratico invece un terzo del mio tempo lo destino ad altro”.

L’altro grande tema è quello dell’incertezza strutturale in cui versa l’università nel suo insieme. “E’diventato molto problematico elaborare un programma a lungo termine – conclude Santini – la mancanza di prospettive dei singoli è diventata un problema di sistema che richiede un’attenzione molto seria. Ciò detto, se uno ha una vocazione per la ricerca, in un quadro così delicato, ancora di più deve resistere alla tentazione di mollare. Bisogna andare avanti e non rinunciare ai propri sogni”.

 
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