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Dissesto idrogeologico, diagnosi e terapia

Come mai le prime piogge autunnali si traducono ormai costantemente in disastri nel nostro Paese? La risposta a questa domanda da un punto di vista scientifico è relativamente semplice.

Il clima sta cambiando e il riscaldamento globale determina una maggior frequenza degli eventi piovosi brevi, intensi e localizzati. Gli eventi definiti dai meteorologi come eccezionali si stanno di fatto verificando praticamente tutti gli anni. La costituzione geologica dell'Italia favorisce i fenomeni di dissesto che da sempre determinano l'evoluzione geomorfologica del nostro paesaggio. L'abbandono delle montagne e delle fasce collinari, la meccanizzazione dell'attività agricola, il degrado del reticolo idrografico minore, l'insufficiente manutenzione delle opere idrauliche di regimazione costituiscono le aggravanti.

Il disboscamento invece no, non c'entra o c'entra solo in qualche situazione locale: la nostra copertura boschiva non era mai stata così estesa dall'alto medioevo. L'edificazione incontrollata nelle aree a rischio, sulle frane, negli impluvi, nelle aree golenali dei fiumi, fa il resto.

In queste e in tantissime altre aree geologicamente a rischio abbiamo purtroppo costruito le nostre città, le nostre infrastrutture, le sedi delle nostre attività produttive.

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Negli anni passati però ci eravamo organizzati. L'Italia è il primo ed unico Paese al mondo che ha mappato le aree a rischio idrogeologico a scala nazionale, anche con il supporto della comunità scientifica, e che ha posto vincoli stretti all'edificazione in tali aree. Le aree a rischio si conoscono, la legge vieta di costruire o ricostruire in tali aree, eppure vi si costruisce lo stesso.

Abbiamo in Italia il miglior sistema di previsione degli eventi idrogeologici. Un sistema distribuito Stato-Regioni, costantemente operativo, coordinato dal Dipartimento nazionale della Protezione Civile, e gestito dai centri funzionali delle Regioni con il supporto dei centri di competenza, ovvero della comunità scientifica. Praticamente tutti i recenti eventi sono stati previsti e preannunciati. Eppure hanno fatto danni lo stesso.

Possediamo anche i migliori strumenti per il monitoraggio geologico del territorio. Abbiamo quattro satelliti italiani che misurano le deformazioni del terreno ad altissima precisione. Abbiamo il Piano Straordinario di Telerilevamento che altri Paesi stanno cercando di imitare. Eppure tali conoscenze non bastano per mitigare i danni.

Abbiamo un'eccellente comunità scientifica nel campo della previsione delle frane e delle alluvioni. La tradizione accademica nei settori dell'idraulica e della geologia applicata è molto sviluppata in Italia, anche nella nostra Università di Firenze. Eppure, in qualche caso ancora oggi, ingegneri e geologi usciti dalle nostre Università progettano e realizzano opere poco sicure in zone a rischio.

Esiste inoltre una normativa nazionale e regionale molto sviluppata nel settore della difesa del suolo e della protezione civile, maturata e consolidata negli anni con la stessa cadenza degli eventi disastrosi. Abbiamo un'ottima Legge di Difesa del Suolo, un eccellente Servizio Nazionale e Regionale di Protezione Civile, delle buone norme di pianificazione urbanistica e una solida normativa tecnica sulle costruzioni. Eppure continuiamo a costruire edifici insicuri nelle zone a rischio.

Cosa non funziona? Il problema a parere dello scrivente riguarda essenzialmente l'insufficiente percezione della dimensione del problema.

Al di fuori delle Università, dei Centri di Ricerca e della Amministrazioni preposte alle politiche territoriali, nessuno sa bene cos'è il dissesto idrogeologico, cosa sono le frane e le alluvioni, perché avvengono e quali sono le norme di sicurezza da adottare in caso di evento.

I fenomeni idrogeologici, come un po' anche quelli sismici e vulcanici, non sono percepiti come rischi e, conseguentemente, non vengono messi in atto misure di prevenzione e di auto-protezione.

Si continua a costruire nelle aree a rischio, proprio perché il rischio non è percepito, nonostante che esso sia mappato con chiarezza e dettaglio. Si costruisce sulle frane, dentro i fiumi e nei torrenti; a volte si scalzano gli argini o ci si costruisce sopra o dentro. Non curiamo il territorio e non chiediamo alle nostre Amministrazioni di tenere in efficienza le opere di difesa e regimazione, perché non capiamo a cosa servono.

Se viene emesso un'allerta meteorologico e poi non succede nulla, protestiamo veementemente contro la nostra amministrazione e contro i nostri tecnici. Se invece purtroppo qualcosa succede, ci arrabbiamo ancora di più perché l'allerta secondo noi non era stato comunicato bene. Allora si mettono in mezzo gli avvocati e i magistrati, con la conseguenza che la previsione di un evento, l'emissione di un allerta, la perimetrazione di una frana, la delimitazione di un'area inondabile, diventano temi di sottili disquisizioni giuridiche, con molto poco di scientifico e di tecnico alla base. E' successo a L'Aquila, pochi mesi fa, per il terremoto.

Non siamo abituati a convivere con questi fenomeni che per loro natura hanno un elevato grado di incertezza. Eppure tutti i giorni ci troviamo ad affrontare eventi incerti, che conosciamo bene e con i quali sappiamo rapportarci, come ad esempio la salute, lo sport, il gioco e molto altro.   

Senza informazioni diffuse, senza conoscenza, senza percezione, i problemi si aggravano e diventano sempre meno sostenibili.

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Cosa stiamo facendo allora? Negli ultimi anni sono state fatte scelte, o non scelte, poco adeguate nel settore della sicurezza del territorio. La Geologia e le Scienze della Terra stanno sparendo dalle Università italiane. I Dipartimenti di tali discipline stanno chiudendo progressivamente per colpa della legge di riforma dell'Università (n. 240/2010) che ha colpito le comunità scientifiche di piccole dimensioni. Fra qualche anno se vorremo dei Geologi dovremo importarli dall'estero.

La ricerca scientifica e il trasferimento tecnologico nel settore della previsione e della prevenzione del rischio idrogeologico erano finanziati negli anni ottanta e novanta dai progetti finalizzati del CNR e, negli anni duemila, con i Programmi Quadro della Commissione Europea e in particolare con il programma di Monitoraggio Globale per l'Ambiente e la Sicurezza (GMES).

Di quest'ultimo non c'è purtroppo più traccia nello schema del nuovo Ottavo Programma Quadro della Commissione Europea. La sicurezza del territorio e dell'ambiente non è più evidentemente una priorità dell'Europa, non solo dell'Italia. Chissà perché?

Il prestigioso Servizio Geologico d'Italia, fondato da Quintino Sella - ministro delle finanze anch'egli alle prese con problemi di spending review - non esiste più. Già da alcuni anni è stato accorpato con altri enti, ha perso la sua identità, è diventato APAT e poi ISPRA. Il risultato è che la Carta Geologica d'Italia non si fa più. E' un po' come togliere le mappe stradali agli automobilisti, l'ecografia ai medici, la carta nautica ai naviganti. Costavano troppo, la Carta e il Servizio. Meglio tagliare.

Anche le Autorità di Bacino, istituite con la Legge di Difesa del Suolo n.183/1989, costavano troppo e allora le abbiamo accorpate, in enormi ed improbabili "distretti" estesi dal Tirreno all'Adriatico, facendo venire meno il principio di base della legge, ovvero la pianificazione degli interventi di difesa del suolo alla scala del bacino idrografico.

Restava la Protezione Civile, frutto di un'altra legge illuminata, la n. 225 del 1992. Venti anni fa. Ci siamo abituati negli anni a vedere gli uomini della Protezione Civile immediatamente a seguito di ogni grande emergenza per coordinare forze operative, amministrazioni locali, comunità tecnica e scientifica, organizzazioni di volontariato.

Abbiamo toccato con mano l'enorme progresso, anche tecnologico, compiuto dal sistema di Protezione civile, valido esempio di struttura distribuita sul territorio, coordinata fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome.

Però anche questo evidentemente costava troppo. E allora ecco la legge n. 100 del 2012 per ridimensionare gli ambiti di intervento dei poteri straordinari della Protezione Civile. Dopo tre mesi dall'evento calamitoso tutto deve tornare ad essere gestito con i mezzi e con gli strumenti ordinari - basta con i commissari! - questo è il principio ispiratore.

Peccato che di mezzi e strumenti ordinari sia rimasto ben poco per quanto detto sopra. Il risultato è che adesso non abbiamo più nemmeno quelli straordinari che, almeno, un grande senso di protezione lo davano.

 

I costi del dissesto idrogeologico e la spending review. In Italia si verificano in media 7 eventi eventi disastrosi per anno connessi a frane ed alluvioni. Essi producono in media 60 vittime, centinaia di feriti e migliaia di senzatetto. La probabilità di subire un incidente per frane e alluvioni è ben superiore a quella di subire danni per attacchi terroristici, pandemie, incidenti aerei, fulminazione, incidente industriale. Eppure per queste altre tipologie di rischio si investe molto di più e si forniscono informazioni in modo preciso. Vengono colpiti bambini, donne, anziani, malati e portatori di handicap. Anzi, proprio i più deboli sono i più colpiti.

Frane e alluvioni producono, in media, danni per circa 3 miliardi di Euro ogni anno (poco meno del 2 per mille del PIL). Considerando i danni indiretti la stima sale a 4-5 miliardi di Euro per anno (poco meno del 3 per mille del PIL). Circa il 10% del territorio è a rischio e più dell'80% dei comuni è interessato da almeno un'area a rischio estremamente alto, dove non dovrebbe essere consentito costruire né ricostruire.

In media lo Stato spende circa un miliardo all'anno per riparare i danni causati dal dissesto idrogeologico, circa un terzo dei danni effettivamente prodotti.

Per gli interventi di prevenzione e di difesa del suolo, lo Stato spende in media, secondo i dati del Ministero dell'Ambiente, 400 milioni di Euro all'anno (lo 0,25 per mille del PIL), ovvero un terzo di quanto lo stesso Stato spende in riparazione dei danni, un ottavo dei danni effettivamente provocati, un dodicesimo dei danni totali diretti ed indiretti.

Tali dati fanno pensare, soprattutto se comparati con altre categorie di spesa pubblica, per esempio il 3,3% (per cento non per mille!) del PIL destinato alla Difesa Nazionale, ovvero alla difesa da una minaccia che di fatto non esiste più. Mentre per difenderci dalla minaccia concreta, effettiva e regolare degli agenti atmosferici e del suolo instabile spendiamo, come visto, 133 volte meno.

Se lo Stato investisse per la previsione e la prevenzione del rischio idrogeologico anche un solo punto percentuale del PIL, vivremmo in un Paese più sicuro e con maggiore benessere sociale.

 

La pericolosità geologica della città di Firenze. Calcolare la pericolosità geologica della propria casa o del proprio Comune è possibile, trattando statisticamente i dati sugli eventi del passato in un periodo sufficientemente lungo. Si applica di fatto il principio dell'Attualismo che sta alla base delle moderne Scienze della Terra. Però nessuno lo fa. Le informazioni sulla pericolosità o sul rischio vengono date in modo confuso o estremamente tecnico, in modo incomprensibile per la gente comune.

Proviamo qui a calcolare la pericolosità del Comune di Firenze. Possiamo fare lo stesso per ogni città italiana a piacimento. Firenze non è nemmeno fra quelle a pericolosità più alta, nulla di paragonabile a Napoli o Messina, che sono fra le città a rischio più alto del mondo. I dati necessari si trovano su internet: sui siti del CNR, dell'INGV, di ISPRA e delle Autorità di Bacino. La pericolosità è definita come la probabilità che un evento di data intensità si verifichi in una certa area e in un dato intervallo di tempo.

Se scelgo un tempo pari all'aspettativa di vita media, che è pari ad 80 anni, e se considero solo gli eventi più significativi, sopra la soglia del danno, ottengo i seguenti risultati:

  • la pericolosità delle alluvioni è circa 55%, considerando anche i cambiamenti ambientali degli ultimi due secoli;
  • la pericolosità delle frane è circa 94%, considerando anche i cambiamenti ambientali degli ultimi due secoli;
  • la pericolosità dei terremoti è circa 31%, considerando intensità maggiori o uguali al VII grado Mercalli
  • La pericolosità delle eruzioni vulcaniche è zero, infatti, checché ne dicano i Fiorentini, Monte Morello, anche se è un po' a punta, non è un vulcano ma è costituito da calcari.

Si tratta di dati senza dubbio preoccupanti e che fanno pensare. Perché allora non si fa nulla?

La risposta, a mio parere, è perché la politica e l'amministrazione pubblica hanno tempi diversi. Quando va bene programmano e pianificano su un arco temporale molto più breve, tipicamente cinque anni: la durata di una legislatura.

Se ripeto l'esercizio del calcolo della pericolosità geologica a Firenze su un intervallo di tempo di 5 anni, invece che di 80, ottengo i seguenti risultati:

  • la pericolosità delle alluvioni scende a circa 5%;
  • la pericolosità delle frane scende a circa 16%;
  • la pericolosità dei terremoti scende a circa 2%.

Così i valori sono bassi e non fanno più paura. Non pare quindi a molti conveniente investire risorse pubbliche per prevenire eventi così poco probabili nei cinque anni in cui si hanno responsabilità politiche o dirigenziali. Si preferisce spostare il problema sulle generazioni future.

E' di nuovo un problema di percezione: su brevi orizzonti temporali i rischi geologici sono percepiti correttamente come eventi poco probabili, invece, su tempi più lunghi, come quelli della durata media della nostra vita, non viene adeguatamente percepito che la probabilità di accadimento diventa insostenibile.

 

Nicola Casagli, Dipartimento di Scienze della Terra

 

 

 

 
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