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La storia del goliardo

di Isabella Bigazzi

   Il “goliardo” deriva dal cappello da viaggio e da caccia medievale, detto “à bec”, o “a punta”, forse di origine orientale, usato da uomini e donne sia di ceto alto che basso, da nobili, cavalieri, mercanti, cacciatori, servitori, studenti, tutta gente che viaggiava molto per le vie d’Europa. La differenza di qualità di materiale e d’ornamento, o l’assenza di questo, distingueva il ceto di coloro che lo indossavano.
Esistono testimonianze del cappello nelle scene raffigurate sulle valve di specchi francesi in avorio del Trecento, esistenti in vari musei stranieri e italiani, per esempio al Museo Civico di Bologna e al Museo Correr di Venezia. In genere vi sono raffigurate coppie di giovani amanti a cavallo che si scambiano teneri gesti amorosi, talvolta accompagnate da un servo. Altre testimonianze si hanno nella miniatura e nella pittura.
Simone Martini raffigura il cappello nell’affresco con l’Investitura a cavaliere di San Martino, nel ciclo della  Cappella di San Martino della Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi. Ambrogio Lorenzetti lo raffigura in vari episodi dell’affresco del Buon governo nel Palazzo Pubblico di Siena, e nell’immagine dell’Inverno sopra l’affresco del Cattivo governo, oltreché in una formella del cassone nuziale Cotone Bulgarini. Buffalmacco ci offre una splendida varietà di cappelli a becco, maschili e femminili di alta qualità, nella scena dell’Incontro dei tre vivi coi tre morti nell’affresco del Trionfo della morte del Camposanto di Pisa. L’Orcagna lo raffigura indossato da uno dei poveri che invocano la morte nel frammento di affresco di Santa Croce a Firenze. Anche Spinello Aretino lo fa indossare ad alcuni personaggi nel ciclo di affreschi della Sagrestia di San Miniato al Monte a Firenze. Vi sono, comunque, anche altre testimonianze pittoriche. Nel Quattrocento, il cappello, raffigurato nella medaglia con l’effigie di Giovanni Paleologo, fu detto “alla grecanica” perché indossato dai dotti greci che vennero a Ferrara e Firenze per il Concilio.
Per venire però al moderno uso, grande impulso alla Goliardia fu dato da Giosuè Carducci. Sull’esempio dei festeggiamenti, avvenuti nel 1886 per l’Università di Heidelberg, nel 1888, in occasione dell’ottavo centenario dell’Università di Bologna, Carducci  volle festeggiamenti grandiosi a cui presero parte studenti delle principali università italiane e straniere. Bisogna dire che sia il nome che il cappello stesso sono frutto del clima di revival medievale del tardo Ottocento. Il nome, in genere, si fa derivare da “Golia” identificato con Abelardo il dotto e libero spirito del monaco, famoso per la storia del suo amore con Eloisa, e antagonista nella Parigi medievale dell’inflessibile San Bernardo. Il cappello fu adottato dagli studenti universitari, che in genere indossavano “l’orsina”, berretto rotondo a calotta, in pieno revival neomedievale dal 1892 a Padova  in occasione delle celebrazioni galileiane. Da lì, l’uso poi si diffuse.  Ne consegue che il taglio della punta operato dai volontari  nella battaglia di Curtatone e Montanara  nel 1848 è solo una invenzione, un mito neomedievale, creatosi in epoca tardo-ottocentesca, in pieno gusto retrò, e in un momento difficile della vita civile e politica del giovane stato italiano, forse con onorevoli intenzioni celebrative verso quei giovani che spesero le loro vita per l’Unità d’Italia. I volontari si erano coperti il capo, non col “goliardo”, ma piuttosto col loro cappello civile, o con un floscio “Kepì” che certo non offriva alcuna protezione ai colpi nemici. Naturalmente la pittura ottocentesca e anche il costume teatrale offrono altrettante testimonianze revival del cappello a punta, per citare alcuni artisti: Hayez, Cassioli, Cabianca ed altri.
Il termine “feluca”, dal nome dell’imbarcazione turca, con cui talvolta ci si riferisce al “goliardo” , si potrebbe dire improprio, essendo la feluca, cappello di tipo militaresco, di tutt’altra forma, simile ad una barca rovesciata. Essa, si diffonde in Europa soprattutto tra il tardo Settecento e il periodo napoleonico, ed è ancora usata da alcuni corpi militari e come accessorio dell’uniforme civile di gala.

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La mostra sulla goliardia fiorentina, aperta fino al 31 agosto presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze, via Cavour 43, presenta i “goliardi” dei vari ordini fiorentini, e varie testimonianze iconografiche, fotografiche, rarità librarie e numeri unici di pubblicazioni, oltre a originali “papiri”, “patacche” e quant’altro possa servire ad illustrare un esuberante capitolo di vita e di cultura dell’Università.

 
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