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150 anni fa, la vita degli universitari fiorentini

Formare gli italiani, mostra alla biblioteca umanisticaCom’era la vita degli universitari fiorentini 150 anni fa? Non molto diversa da quella attuale. Ricorrono situazioni e problematiche, allora come oggi, sebbene per certi aspetti lo scorrere del tempo si sia fatto sentire.

Dai documenti di archivio si ricava, ad esempio, che presso il Regio Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze - l’antenato del nostro moderno Ateneo, fondato  nel 1859 dal governo provvisorio della Toscana - gli iscritti nell’anno 1865-66 al corso di Storia della filosofia erano 13, mentre il corso di Eloquenza e poesia italiana contava 15 studenti. Ma esisteva già il problema  della frequenza studentesca alle lezioni se il Regolamento interno delle sezioni, del marzo 1860, recitava all’art. 4: “quelli fra gli studenti la cui presenza non sarà attestata per cinque distinte volte dopo la chiama fatta dal bidello dell’Istituto […] perderanno l’anno di studio, a meno che non si giustifichino con apposito documento di essere stati impediti o per cause di salute, o per infortunii sofferti da essi e dalle loro famiglie”. E, circa la disciplina richiesta, l’art. 5 rincarava così: “è principale dovere degli studenti assistere alle lezioni con quel contegno calmo e silenzioso che il luogo richiede e quale conviensi a persone colte e civili. Chi mancasse a questo dovere sarà per la prima volta ammonito dal Presidente di Sezione. Dietro recidiva, e secondo la gravità dei casi, potrà ancora essere espulso dall’Istituto”.

Di simili tracce di vita accademica è ricca la piccola ma preziosa mostra “Formare gli italiani. Testimonianze dai fondi della Biblioteca Umanistica sull’Italia dell’unificazione”, aperta fino al 29 giugno alla facoltà di Lettere e filosofia (piazza Brunelleschi, 4). L’esposizione, che ripercorre con libri e documenti alcune tappe significative del processo di educazione e istruzione finalizzato a creare un’identità nazionale nell’Italia unificata, si articola in sezioni dedicate, ad esempio, all’insegnamento della lingua italiana, alle buone letture per l’infanzia, all’istruzione delle donne raccontata dalle donne, alla formazione degli insegnanti, al perfezionamento del sapere presso il Regio Istituto di Studi superiori di Firenze.

E sempre dai documenti scopriamo che l’Istituto prevedeva l’aiuto da parte di “qualche professore di liceo e di altre scuole secondarie” per le “conferenze e le esercitazioni pratiche”. O registriamo la posizione ferma dell’allora Soprintendente prof. Maurizio Bufalini che rifiuta di concedere il rimborso spese a sei studenti che hanno partecipato al funerale di Alessandro Manzoni a Milano, con la motivazione per cui “non si consente alcuna spesa che non sia stata precedentemente deliberata”, forte del fatto che “nessuna Università del regno ha sostenuto le spese di viaggio per le rappresentanze delle scolaresche che si recarono a Milano”.

Il forte legame dell’Istituto con il processo di formazione unitario è testimoniato dalle parole del ministro della Pubblica Istruzione in Toscana Cosimo Ridolfi che, in occasione dell’orazione inaugurale del 29 gennaio 1860, definisce l’istituzione fiorentina “chiave della gran volta del tempio del sapere” e “un Istituto che rispondesse ai bisogni di una grande nazione”. Non per caso molti suoi professori furono al contempo parlamentari o ministri del Regno d’Italia: Atto Vannucci, Michele Amari, Pasquale Villari, e, in anni più tardi, Domenico Comparetti, Paolo Mantegazza, Alessandro Chiappelli, Pio Rajna, Guido Mazzoni, Michele Barbi, e infine Gaetano Salvemini. Il rapporto con il Risorgimento traspare, ad esempio, anche nel biglietto d’invito – inviato nel maggio 1862 dalla segreteria fiorentina del Ministero della Pubblica Istruzione – per ricordare ai docenti di partecipare  alla Sacra funzione commemorativa per i toscani morti a Curtatone e Montanara, in cui si raccomanda che i professori vestano “l’abito nero con cravatta bianca” e si fregino dei “distintivi accademici loro propri”.

L’esposizione – aperta dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 19 e curata da Cristina Digiesi, Paola Navone e Carolina Santoni, con il supporto di Floriana Tagliabue e la collaborazione di Luciana Meli e Mario Tarducci -  è dedicata alla memoria di Luciana Sabini, bibliotecaria appassionata, che vi ha contribuito con intelligenza e convinzione.

Sempre di vita universitaria dello stesso periodo storico, sebbene su un altro piano, tratta un’altra mostra, realizzata dalla Biblioteca Marucelliana in collaborazione con l’Ateneo, dal titolo “La Goliardia in Toscana dal XIX al XX secolo: Editamus igitur”. L’esposizione, che presenta un singolare capitolo di storia accademica, dai tratti irriverenti e dissacranti, è aperta fino al 31 agosto  presso il Salone Monumentale di Via Cavour, 43. Dal ricco patrimonio della Biblioteca è stata selezionata un’ampia scelta di riviste e numeri unici, edizioni di pregio e pezzi rari, tra cui il manoscritto che apre la mostra, oltre a originali “papiri” e “patacche”: nella mostra anche la curiosa storia del “goliardo”, a cura di Isabella Bigazzi, che ricostruisce l’uso del cappello medievale adottato a fine Ottocento dagli studenti universitari. (ddb)

 
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