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Laurearsi in carcere

Ignazio BecchiL’Università in carcere. Docenti a servizio di detenuti che vogliono studiare e non smettere di sperare. Una struttura amministrativa per tutelare il diritto costituzionale all’istruzione e alla formazione di tutti. Definizioni che solo in parte riescono a descrivere cosa sia il “Polo Universitario Penitenziario della Toscana”, costituito ufficialmente il 27 gennaio 2010 per coordinare le attività svolte a partire dal 2000 nelle casi circondariali toscane.
Un’esperienza valutata positivamente dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana e dagli atenei di Firenze, Pisa e Siena che hanno rinnovato il loro impegno a realizzare un sistema integrato di coordinamento che faciliti ai detenuti il conseguimento di titoli di studio universitari, attraverso la creazione del “Polo Universitario Penitenziario della Toscana”.
Il primo polo universitario penitenziario si costituisce a Prato, nella casa circondariale di Dogaia, nell’ottobre del 2000 con la firma del protocollo di intesa tra l’Ateneo fiorentino, l’Amministrazione penitenziaria e la Regione Toscana. Nel 2003, anche le università di Pisa e Siena firmano un protocollo di intesa in giunta regionale e si inaugurano i poli universitari penitenziari nelle carceri di Pisa e San Gimignano.
A più di dieci anni dalla nascita del polo di Dogaia, Ignazio Becchi, delegato del rettore per i rapporti con il Polo Universitario Penitenziario della Toscana, racconta la storia passata e recente di questa esperienza.

Prof. Becchi, come è nato il “Polo Universitario Penitenziario”?
Per iniziativa di Nedo Baracani, docente della Facoltà di Scienze della Formazione, sociologo esperto in ambito penitenziario, che - raccolte le sollecitazioni provenienti dall’Associazione Volontariato Penitenziario (AVP) - propose al rettore di allora, Paolo Blasi, di sottoscrivere un accordo con l’Amministrazione Penitenziaria e la Regione Toscana perché si potesse garantire ai detenuti il diritto costituzionale all’istruzione e alla formazione. Il primo protocollo d’intesa fu firmato nell’ottobre del 2000 alla presenza del rettore Augusto Marinelli, da poco eletto alla successione di Blasi. Accordo di cui possiamo considerare padre, insieme a Nedo, Emilio Santoro, associato di filosofia del diritto che aveva fondato nel 1996, presso il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto del nostro ateneo, il Centro di Documentazione "L'altro diritto", impegnato in attività di riflessione teorica e di ricerca sociologica sui temi dell'emarginazione sociale, della devianza, delle istituzioni penali e del carcere.
Il protocollo prevedeva l’istituzione di un comitato composto dai delegati di ciascuna Facoltà, che avrebbe raccolto e valutato le domande di immatricolazione e organizzato le attività didattiche per i detenuti desiderosi di studiare.
Con il protocollo del 2000, l’Università ha allargato il suo compito istituzionale, istruzione e formazione, ad un gruppo di persone svantaggiate, riconoscendo che il diritto all’istruzione e alla formazione non si perde quando si sconta una pena per un reato commesso (del resto, basta leggere il regolamento penitenziario). Si può legittimamente privare un detenuto di certi diritti (la libertà di movimento, l’accesso a certi ruoli sociali), ma non di quello all’istruzione, alla libertà di pensiero, di religione, e più in generale alla libertà di perseguire degli scopi per la sua vita.
Inoltre, con l’ingresso dell’Università in carcere, si completava il quadro del sistema di istruzione regionale, dal momento che negli istituti penitenziari erano già presenti le scuole primarie e quelle superiori.

Avevate modelli di riferimento sul territorio nazionale?
Subito dopo l’entrata in vigore della riforma Berlinguer che introdusse il cosiddetto sistema del “3+2”, l’Università di Torino attivò due corsi di laurea triennali, Scienze Politiche e Giurisprudenza, all’interno del carcere cittadino. Corsi a numero chiuso, organizzati secondo modelli tradizionali, non sempre applicabili nelle carceri. Nel carcere di Dogaia, la casa circondariale di Prato, l’Università di Firenze ha sperimentato nuove modalità di insegnamento e di tutorato. Se in Facoltà bastano pochi minuti per raggiungere un’aula, incontrare gli studenti e fare lezioni, in carcere occorre superare molti cancelli, apporre numerose firme, ottenere le necessarie autorizzazioni, considerare con attenzione la serie infinita di limiti e di vincoli che governano l’istituzione carceraria.

 


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