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Varata la policy di ateneo sull'open access

 

Mauro Guerrini, Università di FirenzeNella riunione dell’11 aprile, il Senato accademico ha approvato la policy di ateneo sull’open access. Il testo varato deriva da un intenso lavoro della Commissione open access di ateneo, presieduta dal prorettore alla ricerca Elisabetta Cerbai e costituita da rappresentanti delle varie aree disciplinari; nei mesi scorsi, essa si è confrontata con la Commissione Ricerca e ha coinvolto tutti i soggetti interessati: il Sistema bibliotecario di ateneo, il Centro servizi informatici e informativi dell’ateneo fiorentino (CSIAF) e l’Ufficio Ricerca. Ne parliamo con Mauro Guerrini, ordinario di Biblioteconomia e membro della Commissione open access e del Gruppo open access della CRUI.

L’impegno dell’Università di Firenze a riguardo dell’open access data da oltre dieci anni. Ripercorriamone le tappe.
L’Università ha aderito al movimento open access firmando nel 2004 la Dichiarazione di Messina, un documento concepito dalla Commissione CRUI per le biblioteche di ateneo, che intendeva promuovere l’accesso aperto alla letteratura di ricerca tramite repository istituzionali ed editoria elettronica. Il testo riprendeva la Dichiarazione di Berlino del 2003 la quale afferma che, nella nostra epoca, “occorre sostenere nuove possibilità di disseminazione della conoscenza, non solo attraverso le modalità tradizionali ma anche e sempre più tramite il paradigma dell’accesso aperto via internet”. L’open access viene definito come “una fonte estesa del sapere umano e del patrimonio culturale validati dalla comunità scientifica”.
Nel 2000 la nostra università ha aperto la Firenze University Press (FUP), che unisce con successo la filosofia dell’open access con la pratica della pubblicazione commerciale, grazie alla formula dell’accesso online gratuito e il print on demand a pagamento. In quello stesso anno l’Ateneo ha realizzato l’Archivio E-prints, una piattaforma, implementata da FUP, Sistema bibliotecario di ateneo (SBA) e Centro servizi informatici e informativi dell’ateneo fiorentino; dal 2005 è stata dismessa dalla FUP e da CSIAF ed è mantenuta dal SBA, senza aggiornamento del software.
Il 19 maggio 2011 è stata istituita, con decreto rettorale, la Commissione open access (OA) di Ateneo con l’incarico di predisporre il progetto di un nuovo repository istituzionale. Il rettore ha ricordato l’impegno verso l’open access nella relazione di apertura dell’anno accademico 2011-2012.
Il concetto dell’open access è stato accolto nel nuovo Statuto, all’art. 8, che ha recepito “i principi dell’accesso pieno e aperto alla letteratura scientifica” e afferma che l’Università “promuove la libera diffusione in rete, nei circuiti della comunità scientifica internazionale, dei risultati delle ricerche prodotte in Ateneo”.
Finalmente l’approvazione della policy da parte del Senato accademico, un avvenimento che definirei storico. La policy è un atto politico strategico per l’Università e conforta che sia stato approvato all’unanimità. Il nostro Ateneo è il primo in Italia ad assumere, a livello di governo d’ateneo, la decisione di rendere liberamente accessibili i prodotti della ricerca scientifica elaborati dai propri docenti e ricercatori.

Quale responsabilità per l’Università di Firenze?
L’esperienza dell’Ateneo fiorentino si presta a diventare concretamente la prima di molte altre, facilitando così la creazione di repository istituzionali di “nuova” generazione in altri Atenei statali e pubblici italiani, che così si allineerebbero alle politiche di accesso aperto incentivate e sostenute in ambito europeo da istituti quali l’International Association of Scientific, Technical and Medical Publishers, la European Science Foundation, la Max Planck Gesellschaft, la Göttingen State and University Library (per maggiori informazioni sulle istituzioni impegnate a livello europeo a sostegno di un nuovo modello di comunicazione scientifica, si consulti il sito del progetto PEER - Publishing and the Ecology of European Research).

Cos’è il repository istituzionale?
È un deposito dei contributi scientifici garantiti sotto il profilo qualitativo e al contempo una vetrina della produzione scientifica dell’Ateneo; un valido strumento per la valutazione interna e la ripartizione delle risorse tra le strutture di ricerca. È una collezione digitale, già creata da molti atenei nel mondo, per raccogliere e valorizzare la produzione scientifica degli studiosi e garantire il libero accesso e la condivisione del sapere.

Quali sono i vantaggi di un deposito istituzionale?
Per gli autori che depositano i loro contributi i vantaggi sono molteplici, in primis una rapida e ampia diffusione dei risultati della propria ricerca: il contributo diventa accessibile in ambiente digitale e perciò a livello internazionale, con un conseguente aumento della sua visibilità e del grado d'impatto della ricerca. Quanto più un articolo è liberamente scaricabile, tanto più facilmente potrà essere letto e quindi citato. Già nel 2001 su Nature Steve Lawrence stimava che gli articoli presenti online erano citati in media almeno il 336% in più rispetto ai medesimi articoli nella versione a stampa. Dalla maggiore visibilità possono certamente derivare ricadute economiche positive sull’Università, perché gli effetti virtuosi del repository sono molteplici e ad ampio raggio. Rendere immediatamente conoscibili e facilmente utilizzabili i lavori dei membri di un Ateneo sia dalle comunità scientifiche di riferimento, sia da tutti i fruitori del web, significa operare una rivoluzione copernicana della scienza.

E sotto il profilo scientifico?
Sotto il profilo prettamente scientifico, si corrobora e si rende più rapida la disseminazione dei risultati della ricerca con il conseguente potenziamento della ricerca medesima; si moltiplicano e si velocizzano le occasioni di incontro e di collaborazione tra studiosi – non più vincolate a reti di contatti precostituite e suscettibili di irrigidimento – e quindi si innalzano moltissimo le probabilità di formare nuovi gruppi di ricercatori. Il singolo studioso poi, oltre che all'interno delle filiere dei contatti tra specialisti già date, potrà agire in un nuovo foro che dilaterà la possibilità di creare nuove relazioni sia attivamente, sia passivamente. Ciò avvantaggerà senza dubbio gli studiosi accademicamente più giovani, ma non soltanto loro. Il repository contribuisce a ottimizzare il carattere collettivo dei saperi scientifici, proprio perché facilita la comunicazione tra gli studiosi – anche tra gli studiosi di discipline diverse con tutto vantaggio della cosiddetta cross-fertilization – e accresce il senso di appartenenza del singolo alla comunità scientifica internazionale. I vantaggi sussistono, naturalmente, soltanto se il contributo è di qualità e, in questo senso, resta imprescindibile un processo di seria certificazione (peer review) di cui è garante l’Ateneo con un vaglio rigoroso e onesto. L’onestà del processo avvantaggia l’istituzione e l’intera collettività accademica e, in ultimo ma non meno importante, potenzia un processo di autovalutazione costante che responsabilizza ciascuno scienziato sia come autore, sia come revisore.
Non casualmente l’Università di Harvard sta perseguendo politiche molto avanzate a sostegno all’accesso aperto: alcune sue Facoltà, come la Harvard Faculty of Arts and Science, la Harvard Law School, la Harvard Kennedy School e parzialmente anche la Harvard Medical School, hanno reso obbligatorio per gli studiosi afferenti il deposito delle pubblicazioni nel repository istituzionale, denominato DASH, Digital Access to Scholarship at Harvard.

 


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